Cous cous integrale vegetariano
La ricetta di oggi è un piatto unico colorato, sano e leggero, forse già più estivo che primaverile. Sta di fatto che dopo gli stravizi di Pasqua e Pasquetta c’è bisogno di rientrare nei ranghi e non c’è cosa migliore che fare il pieno di verdure e cereali integrali.
Il cous cous non manca mai nella mia dispensa, specialmente nei mesi più caldi. La mattina mi bastano pochi secondi per metterlo a rinvenire e in pausa pranzo lo trovo pronto per essere condito: verdure crude, saltate, lesse, pomodorini, gamberi, ceci… la lista delle varianti è infinita e in continuo aggiornamento.
La ricetta che vi propongo oggi è la versione più gettonata, nonché quella più datata, che preparavo con mia mamma già quando abitavo dai miei e che non mi stanca mai. Sarà che è piena di profumi e di colori, sarà che il contrasto tra le verdure cotte e i pomodorini crudi rende il piatto vivace e originale, ma quando penso al cous cous penso subito a questo piatto.
Molti pensano che il cous cous sia un piatto esotico e ‘strano’: in realtà pur avendo origini nordafricane – e in particolare marocchine – è molto consumato anche nella Sicilia occidentale e ha conquistato le tavole di moltissimi paesi europei. Inoltre va detto che queste piccole palline altro non sono che chicchi di semola di grano duro, quindi la matrice, la materia prima, è la stessa della nostra italianissima pasta.
I chicchi di semola vengono precotti al vapore, poi essiccati e messi in commercio. Acquistando il cous cous precotto sarà sufficiente farlo rinvenire per pochi minuti nell’acqua bollente per poi sgranarlo e condirlo a vostro piacimento: io lo adoro perché si prepara in un attimo e senza sporcare nemmeno una pentola!Donuts speziati con glassa allo sciroppo d’acero – Re-cake #12
Nel mese di marzo avevo già giocato con le mie compagne di Re-cake con questa ricetta salata, proposta come prima contro-recake della storia… ma non potevo farmi certo sfuggire la Re-cake ufficiale del mese: i mitici donuts!
Penso che ognuno di noi si senta un po’ Homer Simpson di fronte a questi dolcetti americani: salivazione a mille, desiderio compulsivo di farne una scorpacciata e didascalia fumettosa che grida ‘ciambeeellaaa!!!’
Devo dire che nonostante ciò fino ad oggi ero sempre stata integerrima e non avevo mai ceduto alla tentazione di assaggiarli, e tantomeno di prepararli. I donuts erano uno dei miei cibi tabù, di quelli che ‘chissà quante calorie avranno e poi sicuramente saranno uno di quei dolci americani tutti zucchero, burro e fritto’.
Ecco, mi sono dovuta ricredere: oltre che per la golosità, sulla quale avevo pochi dubbi anche in partenza, anche sul fatto che mangiare donuts a colazione fosse un peccato capitale. Il burro c’è, okay (più che altro nella glassa) – due zuccherini colorati on the top non si negano a nessuno, ma se sommiamo tutti gli ingredienti non otteniamo nulla di più diabolico di una qualsiasi torta soffice da inzuppo. E inoltre i donuts non sono fritti, cosa che ho scoperto con gran sollievo quando ho letto la ricetta e che mi ha fatto abbandonare ogni remora nel prepararli!Che altro dire? La glassa è paradisiaca e per poco non me la sono mangiata a cucchiaiate.
L’impasto è sofficissimo e voglio provarlo anche con altri aromi alternativi alle spezie: magari con semplici scorzette di limone o arancia per una versione un po’ più nostrana.
I donuts restano soffici per un paio di giorni dalla preparazione e io vi consiglio caldamente di raddoppiare le dosi perché con quelle indicate in ricetta ne otterrete solo sei e tempo zero resteranno solo le briciole 😉
Io ho decorato le mie ciambelline con zuccherini colorati e mini-smarties: solitamente non uso codette, palline colorate o altre diavolerie in cucina – anzi, sono piuttosto integralista riguardo al rifiuto di coloranti & co – ma in questo caso sono stata felice di fare un’eccezione alla regola… solo a guardarli questi dolcetti mi mettevano un’allegria incredibile ed era davvero un piacere vederli colorare il bancone della mia cucina… peccato che non siano durati a lungo!Zuppa di noodles con daikon, germogli di soia e gamberi
Nelle frequenti e ripetute incursioni al ristorante giapponese, oltre ovviamente al sushi – uramaki e nigiri al salmone restano sempre sul podio dei cibi preferiti – mi piace sperimentare anche i vari antipasti come zuppe, ravioli, insalate, involtini e chi più ne ha più ne metta.
Le mie preferenze variano di periodo in periodo: le prime cene a base di sushi non potevano che iniziare con un’insalata condita con pesce e anacardi; attualmente è il periodo dei gyoza – ne sono diventata ghiottissima e ne mangerei in quantità industriali- mentre lo scorso autunno impazzivo per le zuppe con i noodles, al punto da essermi messa d’impegno per ideare una ricetta da replicare anche a casa.
E’così che è nato questo piatto, una zuppa di noodles a base di germogli di soia e daikon.Il daikon, conosciuto anche come ravanello cinese, è un elemento fondamentale della cucina nipponica: pare abbia proprietà digestive, drenanti, che faccia bene al fegato e aiuti a sciogliere i depositi di grasso in eccesso; è una radice dal sapore delicato e dall’odore terroso che ricorda vagamente quello dei funghi, e oltre a essere consumato crudo il suo utilizzo ideale è, appunto, nelle zuppe, in cui rimane compatto e dà un’ottima consistenza al piatto.
I germogli di soia hanno anch’essi proprietà benefiche: contengono vitamine e fibre, aiutano a combattere il colesterolo essendo ricchi di lecitina e favoriscono l’accelerazione del metabolismo.
Lo zenzero, infine, è un potente antinfiammatorio e un toccasana per l’apparato digerente, oltre ad avere proprietà anti tumorali.
Oltre che molto sana questa zuppa è anche light: con 30 gr di noodles a testa otterrete due porzioni abbondanti da servire come piatto unico (oppure quattro porzioni se scegliete di servirla come antipasto). Io in questo periodo di detox – tra un fritto di carnevale e l’atro – me la preparo spesso… è uno di quei piatti che soddisfa la mia golosità pur essendo super sano e a basso contenuto di grassi e carboidrati, quindi ovviamente è già diventato uno dei miei cavalli di battaglia! Potete regolare la consistenza in base ai vostri gusti, aggiungendo più o meno liquidi; io lo preferisco come una vera e propria zuppa, con un bel brodo caldo e profumato, ma niente vieta di servirlo anche in versione più asciutta, semplicemente mettendo meno acqua.
Se siete d’accordo con me e preferite la versione ‘zuppa’ vi consiglio di servirla bella calda e fumante… e non vergognatevi di mangiare come in un cartone animato giapponese, bevendo il brodo direttamente dalla vostra ciotolina e infilandovi gli spaghetti in bocca con le bacchette: in Giappone questo comportamento è segno di apprezzamento verso il cibo che si sta gustando. Se vi imbarazzava farlo al ristorante, avete un motivo in più per prepararvi a casa questa zuppa e gustarvela alla maniera orientale… lontano da sguardi indiscreti!Spelt beer’n chocolate cake
Per spiegarvi come è nata questa torta devo fare una premessa: negli ultimi mesi il mio ragazzo e un gruppo di amici hanno messo su un piccolo birrificio artigianale. Io di birra ne so poco o niente, ma, come accade in cucina, resto sempre affascinata dalla trasformazione di una materia prima in un prodotto finito. Malti, grani, acqua, zucchero che si trasformano in un bel bicchiere di birra ambrata sono confortanti quanto la certezza che uova, farina, burro e zucchero possano diventare una torta soffice e golosa.Unendo le due cose, mi sono messa all’opera per trovare una ricetta che prevedesse l’utilizzo della birra in una torta e volendo andare sul sicuro mi sono affidata a Sigrid e al suo Cavoletto.
Rispetto alla ricetta originale ho sostituito la guinness con una birra al farro a kilometro zero (o meglio tre, tanto dista il birrificio da casa mia!) e ho aromatizzato il frosting con un cucchiaio di vin santo, che ha dato un tono più nostrano al dolce e rafforzato il retrogusto alcolico nel suo insieme.
La torta che vedete in foto l’ho preparata per i miei mastri birrai e ce la siamo divorata tutta in una pausa tra le varie fasi della birrificazione. Credo che il suo successo sia dovuto in buona parte al fatto che è una torta dal gusto maschile, dal temperamento forte e dalla consistenza sostanziosa.
La pasta è nerissima, profuma di terra e di grano, e la glassa bianca, dolce ma con un tocco pungente dato dal vin santo.
Se la preparerete, vi godrete in casa un ottimo odore: l’incrocio tra quello del pane appena sfornato (per via dei lieviti presenti nella birra, credo) e quello di una torta al cioccolato (perché qui di cacao ce n’è, e in dosi massicce).
Ah, ed è anche facile e veloce da fare! Che dite, vi ho convinto?Ingredienti
(per una teglia di diametro 20 cm)
per la torta:
330 ml birra (per me artigianale al farro)
290 gr zucchero di canna
185 gr burro morbido, a temperatura ambiente
185 gr farina 00
200 gr di uova intere
80 gr di cacao amaro
2 cucchiaini rasi di bicarbonato
1 cucchiaino di lievito per dolci
un pizzico di sale
per la glassa:
400 gr formaggio fresco spalmabile*
250 gr zucchero a velo
1 cucchiaio abbondante di vin santoSetacciate in una ciotola la farina, il sale, il bicarbonato e il lievito.
In un’altra ciotola mescolate la birra e il cacao, anch’esso setacciato.
Lavorate a crema il burro morbido con lo zucchero, poi aggiungete le uova una alla volta e infine unite, alternandoli, le polveri e la birra con il cacao.
Versate l’impasto in una teglia imburrata e cuocete per un’ora a 180°, facendo sempre la prova stecchino a fine cottura.
Preparate poi la glassa, semplicemente lavorando con una frusta i tre ingredienti – formaggio, zucchero a velo e vin santo – e spalmatela sulla torta una volta raffreddata.
Conservate la vostra spelt beer’n chocolate cake in frigo fino al momento di servirla.* Aggiornamento – importante!- del post: se volete ottenere una glassa densa da spalmare sopra la torta, come nelle foto, non utilizzate il Philadelfia ma altri tipi di formaggio – tipo Naturella o Esselunga, per dirne un paio che ho testato di persona. Con il Philadelfia la crema risulterà più liquida, a me è capitato e ho risolto dividendo la torta in tre e mettendo due strati di farcia all’interno e uno strato sottile di crema sopra. Il sapore ovviamente non ne ha risentito, ma l’aspetto della torta è risultato molto diverso da quello che vedete in foto.